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La comunicazione è cura (anche nella salute digitale)

Qualche tempo fa abbiamo parlato della

nell'era digitale. Se, da un lato, la tecnologia può aiutarci a rendere le cure e i servizi più accessibili, sostenibili e centrati sulla persona nella sua totalità, bisogni informativi ed emotivi compresi, dall'altro tale cambiamento deve accompagnarsi a una rinnovata attenzione per la relazione e la comunicazione medico-paziente.

Come affermato anche dalla

(art.1 comma 8), il tempo della comunicazione costituisce tempo di cura: comunicazione e relazione, dunque, sono atti propri della cura, che incidono sul percorso e sul suo successo.

Ho il piacere di discuterne con l’ospite del #giovedigital di oggi: Nicole Smith, ex paziente e fondatrice del progetto

: uno spazio online dedicato prevalentemente ai curanti, un invito a “ripartire dalle basi” e a occuparsi di relazione e buona comunicazione tra medici e pazienti.

1. Ciao Nicole e benvenuta! Com'è nato “Cominciamo da Zeus” e quali sono i suoi obiettivi?

Ciao Elisabetta, grazie per avermi offerto questo spazio! Il progetto nasce da un’esperienza personale: nel 2016 ho avuto un grave incidente stradale e ho soggiornato su un letto d’ospedale per cinque mesi, totalmente bloccata.

A quel tempo mi stavo per laureare in Comunicazione: sono sempre stata un’appassionata di dinamiche comunicative e così – dovendomi anche inventare qualcosa per trascorrere le lunghe giornate – ho iniziato ad osservare la relazione tra me e le figure curanti con cui dovevo interagire.

Più andavo avanti, più mi rendevo conto di quanto l’elemento relazionale, pur essendo fondamentale nell'ambito della cura, venisse poco… “curato”. Non sempre ovviamente, ma in generale notavo poca attenzione.

Dopo essermi rimessa in piedi e aver detto addio a quel letto, mi sono laureata con una tesi sull'argomento, ma sentivo che non sarebbe bastato… e ho aperto “Cominciamo da Zeus”! Il nome proviene da un proverbio latino che sta per “partiamo dalle basi” ed è uno spazio dedicato ai curanti, dove ci occupiamo di relazione medico-paziente in tutte le sue sfaccettature, dal peso delle emozioni al ruolo della formazione medica.

I nostri obiettivi sono: dal un lato, sollevare questa tematica sempre più urgente (basti pensare alle numerose aggressioni nei confronti del personale sanitario); dall'altro, aiutare i curanti nella loro professione a partire dalla mia storia di paziente.

2. Nel mio lavoro, ma non solo, mi capita di incontrare alcune storie di “mala comunicazione”. Una comunicazione inappropriata o assente può risultare molto dannosa per le persone e per la loro storia clinica, in alcuni casi addirittura traumatizzante: cosa ne pensi?

Ti racconto un aneddoto della mia degenza. Tra le altre cose, avevo una frattura del bacino su più lati, veramente una brutta frattura. I medici avevano optato per intervenire con un fissatore esterno (una specie di struttura con delle viti) che avrei dovuto tenere per tutti i cinque mesi. Quella era diventata la mia “nuova vita”: sdraiata a letto, con questa struttura inserita nel bacino, ma mi ero abituata. Sapevo che, trascorso il tempo necessario, mi avrebbero operata per toglierla e avrei potuto iniziare la riabilitazione.

Un giorno, dopo circa 3 mesi e mezzo di degenza, vengo visitata da un ortopedico mai visto prima. Vengo portata con il letto nel suo ufficio. Non mi saluta nemmeno. Intravedo che ha le mie lastre tra le mani, le guarda, le studia. Mi guarda e dice: “Eh, qui dobbiamo operare nuovamente. Dobbiamo inserire un chiodo fisso interno. La sua frattura è troppo grave.”

Puoi immaginare il mio caleidoscopio di emozioni! Sorpresa, stupore, rabbia, delusione, paura. Soprattutto rabbia e paura. Rabbia per il suo modo di dirmelo, rabbia per il fatto che mi venisse detto dopo così tanto tempo, rabbia per la sua mancanza di tatto e delicatezza. Paura, tanta paura, di dover tornare indietro. Essere operata nuovamente voleva dire tornare indietro, sia per me che per la mia famiglia. Voleva dire ritornare nel tunnel e dimenticarsi di quella luce fioca che iniziavo ad intravedere…

Alla fine, il primario del reparto è venuto a scusarsi dicendomi che si era trattato di un "errore". Io posso dire che, a seguito di quell'errore e soprattutto di quella comunicazione, il mio dolore fisico si era acuito e sentivo la paura stringermi la gola. Quindi sì, può essere realmente dannoso: per la mente e per il corpo.

3. Cos'è per te una “buona” relazione medico-paziente? E quali vantaggi comporta per medici e pazienti?

Quello che ho capito durante la mia esperienza è che quella che chiamiamo “buona comunicazione” altro non è che l’incontro tra due esseri umani, o meglio, citando il filosofo e psichiatra Karl Jaspers “incontro tra due esistenze”. Personalmente credo che una buona comunicazione avvenga quando ci spogliamo sia del pigiama sia del camice. Questa è la vera grande difficoltà. Non entrano in gioco solo la comunicazione e le sue tecniche, ma anche la psicologia, l’antropologia, la filosofia, tutto ciò che concerne il genere umano.

I vantaggi nel curare la comunicazione sono numerosissimi, e non sono io a dirlo, ma gli studi e le ricerche fatte in merito! Dal miglioramento del benessere generale dei pazienti, a una maggior fiducia e collaborazione con i curanti, all'adesione ai trattamenti, fino - ed è l’aspetto che trovo più interessante – al benessere dei curanti stessi, che riportano maggior soddisfazione e gratificazione personale e professionale.

4. Perché, secondo te, è ancora così difficile parlare di relazione medico-paziente? E cosa possiamo fare per aumentare la consapevolezza della sua importanza?

All'interno di un modello di bio-medico come il nostro, il focus è sulla malattia e non sulla persona nella sua interezza. Se io di te percepisco solo il braccio rotto, perché dovrei investire tempo e risorse nel comunicare al meglio con te in quanto persona con il braccio rotto?

Il fattore relazionale e comunicativo non viene considerato alla pari di altre discipline mediche e solitamente viene lasciato alla personale sensibilità del curante (quindi meno rilevante per l’intera categoria) o a qualche fugace studio-pilota, privato di un’attenzione e di un’applicazione autorevoli e sistematiche. A mio parere, invece, c’è bisogno – e scusa il gioco di parole – di trovare il modo di comunicare l’importanza della comunicazione interpersonale.

Per questo io e il mio compagno, Davide Basso, che si occupa di produzione video, abbiamo realizzato un documentario sul tema, includendo il contributo di diversi esperti. Nel 2017 abbiamo iniziato un vero e proprio viaggio, che ci ha portato a incontrare: un medico malato, un neurofisiologo, una formatrice di comunicazione medica, un’antropologa, una persona affetta da malattia cronica e il padre di una bambina con una malattia rara. Alla fine è nato

, che mira proprio a illuminare - e comunicare - la questione.

Credo fortemente nel creare massa critica, il documentario mi ha fatto capire che ci sono sempre più persone interessate a promuovere il tema, sia curanti che malati o anche semplicemente cittadini. Forse è in atto un’inversione di tendenza?

...speriamo! Nel frattempo grazie a Nicole per il suo lavoro e per averci dato l’opportunità di approfondire un tema così importante. Vi lascio al trailer di Quel qualcosa in più:

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