Il caso Weinstein e l'effetto domino
Il caso Weinstein imperversa da mesi su media e social media, continuando a sconvolgere il mondo dello spettacolo e non.
Personalmente, la cosa che più mi ha colpita della vicenda è stata la reazione di chi, più o meno ironicamente, ha manifestato un certo tipo di "solidarietà" nei confronti del noto produttore. Non mi riferisco ai suoi cari o a chi saggiamente ha "sospeso il giudizio" in attesa di un processo che stabilisse la verità giudiziaria. Mi riferisco invece a chi, in risposta alle "tardive" rivelazioni da parte delle (presunte) vittime, ha espresso forti perplessità e sospetto al suon di "come mai tutte ora e dopo tutto questo tempo?".
In realtà, in casi di abuso, NON è raro riscontrare silenzi anche molto lunghi, né osservare i medesimi infrangersi a seguito di una prima denuncia secondo una sorta di "effetto domino" o "circolo del coraggio".
NON è raro, a causa dell'intrinseca ambiguità nonché della carica emotiva dell'abuso, misconoscere o sminuire l'entità e la natura dell'accaduto. Sia per la vittima che per eventuali testimoni.
NON è raro tentare di difendersi dall'impatto dell'abuso usando il silenzio per provare a seppellire o dimenticare l'evento.
NON è raro cercare di dare un senso all'esperienza di abuso assumendosene la responsabilità, fino a credere di esserselo meritati o "andato a cercare".
NON è raro "preferire" il silenzio alla possibilità di esporsi, nella misura in cui parlare implica dover attraversare la propria sofferenza, ma anche rischiare di essere incolpati o non creduti. E non è raro che reazioni di questo tipo da parte degli altri possano procurare una seconda ferita paragonabile a quella dell'abuso.
Non posso sapere cosa sia successo e cosa emergerà in sede processuale, ma da psicologa non posso che riconoscere il dolore di chi decide di rompere il silenzio, anche dopo anni, e cercare di mostrarlo anche a chi si chiede "perché proprio adesso?".
